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Quando cambiare mansione aiuta a ridurre lo stress.

Prevedere una rotazione periodica per chi opera a contatto continuo con l’utenza non è un privilegio, ma una misura di igiene psichica e di efficienza collettiva. Medici, infermieri, insegnanti, assistenti sociali, agenti di polizia (specie carceraria), operatori dei servizi pubblici o privati: chi lavora ogni giorno a contatto con il pubblico conosce bene il logorio invisibile dello stress relazionale.

Badante e anziano

Nel tempo, la pressione costante, il confronto con la sofferenza, le lamentele o l’aggressività dell’utenza possono provocare una desensibilizzazione emotiva. È un meccanismo di difesa: ci si distacca per non soffrire. Ma quando diventa permanente, distrugge la motivazione, spegne l’empatia e apre la strada al burnout, con le sue conseguenze fisiche e psichiche: ansia, insonnia, depressione, disaffezione, abuso di farmaci e talora purtroppo aggressività.

Molti studi internazionali confermano che la rotazione del personale - cambiare periodicamente mansione, sede o tipo di utenza - riduce drasticamente i livelli di stress cronico e previene il burnout.

In alcuni settori pubblici, come la sanità o la magistratura, la pratica è già prevista in via informale o parziale. Ma serve un passo ulteriore: una norma nazionale che renda obbligatoria la rotazione nei lavori ad alto impatto emotivo, sia nel pubblico sia nel privato.

Lo Stato, in quanto garante della salute e del buon funzionamento della macchina amministrativa, dovrebbe farsi carico di questo principio.

Significa definire - con criteri scientifici e condivisi - le categorie più esposte: personale sanitario, assistenti sociali, educatori, forze dell’ordine, operatori penitenziari, call center, sportelli pubblici, e tutte le professioni che comportano contatto diretto e prolungato con l’utenza.

La rotazione periodica deve essere vista come una misura di tutela collettiva.

Garantire a chi lavora la possibilità di alternare ruoli o contesti significa ridurre i rischi di abuso di potere, conflittualità e inefficienze e contemporaneamente migliorare la qualità del servizio e la salute psichica degli operatori.Prevenire il burnout costa infinitamente meno che curarlo.

La rotazione obbligatoria ridurrebbe l’assenteismo, i costi sanitari e il turnover, restituendo al lavoro pubblico e privato motivazione, equilibrio e dignità.

È tempo che la politica se ne faccia carico: per rispetto verso chi lavora, ma anche per i cittadini che ogni giorno incontrano un volto, una voce, una mano che rappresentano lo Stato.

La desensibilizzazione non è una colpa individuale: è un segnale di un sistema che consuma le proprie persone migliori.

Lo Stato deve intervenire, introducendo la rotazione obbligatoria come principio di prevenzione psichica, etica e democratica.

Perché nessuno può restare per sempre sul fronte dell’emergenza.

La rotazione non è fuga: è igiene mentale. È il primo passo per tornare a lavorare e servire con umanità’.

Luciano Bassani

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